Stereotipie infantili: tra fisiologia e neurodivergenza
- Dott.ssa Antonella Mazzillo

- 20 nov
- Tempo di lettura: 3 min
Aggiornamento: 6 giorni fa

Nell’infanzia i gesti ripetitivi possono spaventare gli adulti, soprattutto se sconosciuti, ma spesso fanno parte di un repertorio naturale di autoregolazione. La preoccupazione dei genitori è comprensibile: quando compare un movimento che si ripete, la mente corre subito ai disturbi dello sviluppo, alle possibili diagnosi e ai timori più profondi. Eppure, nella maggior parte dei casi, specialmente nella fascia prescolare, molte stereotipie sono fisiologiche, temporanee e strettamente legate al modo in cui il bambino vive le emozioni e organizza la propria esperienza.
Ci sono movimenti ripetitivi che emergono in momenti di alta attivazione emotiva, durante la fantasia, quando il corpo ha bisogno di scaricare energia o quando il bambino è immerso in un pensiero intenso.
Quando il gesto è modulabile, cioè si interrompe facilmente se il bambino viene coinvolto, distratto o richiamato con delicatezza, siamo quasi sempre di fronte a una stereotipia fisiologica: conserva elasticità e non governa il comportamento. Il bambino la utilizza come parte del proprio modo di orientarsi in ciò che sente; a volte riesce persino a descrivere ciò che sta immaginando o vivendo mentre compie il gesto, e questo è un segnale prezioso: indica che la stereotipia è connessa al suo mondo interno, non ne è una fuga.
La differenza centrale tra una stereotipia fisiologica e una disfunzionale sta proprio nella flessibilità. Un gesto sano, nel contesto dello sviluppo tipico, è intermittente, non irrigidisce la giornata, non interferisce con il gioco o la relazione e tende a comparire in stati emotivi precisi. Quando invece diventa costante, non più influenzabile dall’ambiente, invade le attività quotidiane, genera disagio sociale o appare completamente automatizzato, allora è utile un approfondimento: potremmo trovarci davanti a una stereotipia disfunzionale. In questi casi, interventi specifici, come le tecniche della psicologia breve strategica o percorsi mirati di autoregolazione, che uso con successo, aiutano a ridurre il comportamento senza trasformarlo in un terreno di lotta tra adulto e bambino.
Accanto a queste forme fisiologiche esistono però stereotipie di natura diversa: quelle associate a condizioni del neurosviluppo, come i profili dello spettro autistico, l’ADHD, alcune forme di disprassia o disturbi sensoriali.

Qui non siamo più davanti a gesti transitori o strettamente legati a un’emozione momentanea, ma a comportamenti che svolgono una funzione interna complessa e stabile. Molti bambini neurodivergenti utilizzano le stereotipie per organizzare le informazioni sensoriali, mantenere un equilibrio interno, ridurre il sovraccarico o costruire un senso di continuità in un mondo che può risultare imprevedibile o troppo intenso. La stereotipia, in questo caso, è un linguaggio corporeo, un punto d’ancoraggio: non un sintomo da spegnere, ma un modo di restare nel mondo. Il tratto distintivo non è la bizzarria del gesto, ma la sua funzione e la persistenza nel tempo: se il movimento compare in contesti diversi, aumenta nei momenti di sovraccarico sensoriale, mantiene una struttura stabile e non è sempre modulabile con un semplice richiamo, allora è probabile che appartenga a questa seconda cornice. Per questo gli adulti devono leggerlo come un segnale, non come un errore.
È importante considerare che il controllo rigido da parte dell’adulto, anche nelle forme fisiologiche, può intensificare la stereotipia. Quando un bambino percepisce ansia, richieste insistenti o tentativi di bloccare il gesto, si attiva un meccanismo noto nella psicologia dell’apprendimento: ciò che viene monitorato diventa centrale. Il bambino, mosso dalla vigilanza interna, tende a ripetere di più quel comportamento. Ecco perché il tentativo diretto di estinguere la stereotipia spesso produce l’effetto opposto.

Il passaggio fondamentale è spostare lo sguardo: non più controllare il gesto, ma comprenderne il significato, non eliminare, ma leggere ciò che accade nel corpo e nell’emotività del bambino. Anche i bambini molto piccoli possono imparare a riconoscere il proprio gesto, a capire quando compare, a modularlo o a sostituirlo con risposte più funzionali. L’obiettivo non è togliere la stereotipia, bensì ampliare il repertorio di autoregolazione: offrire alternative corporee o sensoriali, aprire nuove strade interne per gestire l’attivazione. È un lavoro delicato, rispettoso e mai direttivo, che permette al gesto di non trasformarsi in un automatismo radicato.
In questo percorso i genitori hanno un ruolo fondamentale: osservare senza pressione, mantenere un clima emotivo disteso, offrire esperienze corporee che favoriscano la regolazione, rinforzare la varietà delle modalità espressive e soprattutto evitare commenti continui sul gesto. Spostare l’attenzione dal controllo alla relazione fa sì che la stereotipia perda potere e che il bambino guadagni competenze interne e consapevolezza. Quando ci troviamo davanti a profili neurodivergenti, questa postura diventa ancora più preziosa: non si tratta di “far passare” il gesto, ma di ascoltare ciò che comunica e riconoscere che fa parte del modo in cui il bambino si orienta nel mondo, trova equilibrio e costruisce sicurezza.
In questo modo, nella fisiologia come nella neurodivergenza, la stereotipia smette di essere uno spauracchio e diventa una finestra: un modo per conoscere meglio la persona che abbiamo davanti.
a cura di Antonella Mazzillo - Psicologa Clinica
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